Devo confessarvelo, fino a poche ore prima di partire ero un po’ preoccupato per questo viaggio. Di solito c’è sempre un pochino di tensione mista a curiosità prima di ogni novità… ma questa volta era un po’ diverso, questa volta la destinazione era da tutt’altra parte del mondo quindi un po’ di strizza concedetemela.
Non so perché ve lo racconti proprio ora, ma credo che quest’inverno sia stato un po’ pesante per me e ai primi accenni di cielo limpido e clima tiepido non posso che pensare al cielo e alle spiagge sconfinate della California.
Ma andiamo con ordine… Che ci facevo in California?
Considerando il nome plurifamosissimo di uno degli stati americani più celebrati + estate 2015, l’equazione sembrerebbe scontata = vacanza da sogno sulle coste del Pacifico.
In realtà, grazie all’attività di ricerca condotta al Policlinico di Modena, mi trovavo lì in qualità di relatore ad uno dei congressi più importanti della Fisica Medica: 57th annual meeting & exhibition of The American Association of Physicists in Medicine. Roba forte? 5 giorni belli pieni di scienza con l’oceano da guardare solo a distanza, ma niente paura arriveremo anche lì…
Partiamo dall’inizio allora.
Modena, 10 Luglio ore 4.30: sveglia! L’aereo con partenza da Bologna di certo non aspetterà me quindi in piedi. La notte prima non ricordo di aver dormito granché e per strada ci fermiamo a prendere un caffè (l’ultimo degno di questo nome per un po’ di giorni); mentre facciamo colazione, al bar c’è gente che ha fatto seratona ed è ancora lì che trangugia alcool. Surreale ma divertente.
Arrivato in aeroporto, non ho tempo questa volta per ammirare i gioielli di Santi’Agata Bolognese esposti, ma qualcosa mi dice che mi rifarò…
Passaporto, biglietto, consegna bagagli che rivedrò negli States, controlli di sicurezza. Ci siamo, non resta che aspettare e partire.
In realtà il volo non è un diretto, quindi dopo poco sono di nuovo a terra perché l’aereo più importante parte da Roma Fiumicino, direzione NY.
10 ore di volo in cui mi ritrovo a pensare a quando i nostri nonni lasciavano famiglia, visi amichevoli, il profumo della loro terra, il calore del nostro sole estivo per imbarcarsi su improbabili transatlantici per settimane con la loro valigia legata con lo spago, sperando che le onde dell’oceano non inzuppino, oltre la copertura di cartone, i sogni e le speranze contenute all’interno.
Dopo circa 4300 miglia di blu, eccola. Come un incredulo e stanco navigatore d’altri tempi spalanco le palpebre: terra.
Non so perché ve lo racconti proprio ora, ma credo che quest’inverno sia stato un po’ pesante per me e ai primi accenni di cielo limpido e clima tiepido non posso che pensare al cielo e alle spiagge sconfinate della California.
Ma andiamo con ordine… Che ci facevo in California?
Considerando il nome plurifamosissimo di uno degli stati americani più celebrati + estate 2015, l’equazione sembrerebbe scontata = vacanza da sogno sulle coste del Pacifico.
In realtà, grazie all’attività di ricerca condotta al Policlinico di Modena, mi trovavo lì in qualità di relatore ad uno dei congressi più importanti della Fisica Medica: 57th annual meeting & exhibition of The American Association of Physicists in Medicine. Roba forte? 5 giorni belli pieni di scienza con l’oceano da guardare solo a distanza, ma niente paura arriveremo anche lì…
Partiamo dall’inizio allora.
Modena, 10 Luglio ore 4.30: sveglia! L’aereo con partenza da Bologna di certo non aspetterà me quindi in piedi. La notte prima non ricordo di aver dormito granché e per strada ci fermiamo a prendere un caffè (l’ultimo degno di questo nome per un po’ di giorni); mentre facciamo colazione, al bar c’è gente che ha fatto seratona ed è ancora lì che trangugia alcool. Surreale ma divertente.
Arrivato in aeroporto, non ho tempo questa volta per ammirare i gioielli di Santi’Agata Bolognese esposti, ma qualcosa mi dice che mi rifarò…
Passaporto, biglietto, consegna bagagli che rivedrò negli States, controlli di sicurezza. Ci siamo, non resta che aspettare e partire.
In realtà il volo non è un diretto, quindi dopo poco sono di nuovo a terra perché l’aereo più importante parte da Roma Fiumicino, direzione NY.
10 ore di volo in cui mi ritrovo a pensare a quando i nostri nonni lasciavano famiglia, visi amichevoli, il profumo della loro terra, il calore del nostro sole estivo per imbarcarsi su improbabili transatlantici per settimane con la loro valigia legata con lo spago, sperando che le onde dell’oceano non inzuppino, oltre la copertura di cartone, i sogni e le speranze contenute all’interno.
Dopo circa 4300 miglia di blu, eccola. Come un incredulo e stanco navigatore d’altri tempi spalanco le palpebre: terra.
Arrivati al JFK, ci aspettano i controlli di sicurezza. La maxi-sala di attesa in pochi minuti è riempita da una fiumana di gente. Un po’ rassegnato, penso che passerò in fila le mie 4 ore di scalo; in realtà solo mezzora!
Fra le migliaia di persone mi diverto ad osservare gli altri passeggeri. Incredibile come noi italiani siamo così identificabili. Oltre all’immancabile borsello a tracolla (anch’io ne ero munito) i nostri modi mix di spavalderia/inerzia alle novità, curiosità, savoir-faire, stupefacente/illegal problem solving in caso di code, inglese maccheronico, stile nel vestire ci rendono unici. Così, tra i mille John, Erik, Samantha, Annette, so per certo che ci sono anche dei Giuseppe e Maria.
Passati i controlli e reimbarcato il bagaglio da stiva ho ancora un po’ di tempo e anche un po’ di fame dato che, a dispetto del fuso orario che indica le 3p.m., il mio stomaco sa che è ora di cena.
L’aeroporto è zeppo di catene di cibi da fast food e sinceramente non sono ancora pronto per tutto ciò. Opto allora per la cosa più conservativa che c’è… una pizza con pePPeroni. Come per il caffè, capisco che il cibo non sarà una delle cose su cui puntare in questo viaggio; ma oh! Siamo a mezzo emisfero distante da casa, non possiamo mica pretendere di mangiare gli spaghetti di casa… no?
Ore 8p.m. è ora di ripartire, questa volta direzione Los Angeles. In aereo fa freddissimo, per fortuna ci sono delle copertine sul sedile e per non addormentarmi decido di guardarmi The Hobbit. 6h e mezzo dopo, con altre 2500 miglia sotto i piedi, eccoci arrivati a LAX.
Anche se in Italia i miei amici avranno già fatto colazione da un po’, qui è mezzanotte. Dopo circa 30h di viaggio sono anche riuscito a tornare indietro nel tempo; non male.
Un momento fatidico mi attende ora: il ritiro del bagaglio.
Dopo che tutti, ripeto tutti, hanno riconosciuto la propria valigia e sono andati via contenti, del mio neanche l’ombra. Era tutto il viaggio che ci pensavo e ora che sono rimasto solo ad attendere sul nastro un fantomatico bagaglio celeste che non c’è, mi scappa da ridere; forse avrei dovuto fare come il nonno e legare un nastrino rosso alla maniglia per riconoscerlo ed evitare a lui di perdersi.
Sono stranamente tranquillo e penso che, tutto sommato, si farà anche senza.
Contro ogni previsione, lui era però arrivato prima di me ed era lì che aspettava da ore. Bravo, andiamo allora, cominciamo a pestare questo asfalto californiano.
Una settimana prima avevo anche prenotato un bus via internet per arrivare in hotel…chissà se esiste davvero. C’è tutto!
Dopo aver fatto un giretto notturno per strade californiane eccoci finalmente a destinazione: Hotel Pepper Tree. Arrivare in camera e trovare quel lettone tutto per me è stato come un miraggio. Mi ci sono subito tuffato su per testare che fosse vero. Lo era, ed è stato il letto più comodo su cui abbia mai dormito.
Fra le migliaia di persone mi diverto ad osservare gli altri passeggeri. Incredibile come noi italiani siamo così identificabili. Oltre all’immancabile borsello a tracolla (anch’io ne ero munito) i nostri modi mix di spavalderia/inerzia alle novità, curiosità, savoir-faire, stupefacente/illegal problem solving in caso di code, inglese maccheronico, stile nel vestire ci rendono unici. Così, tra i mille John, Erik, Samantha, Annette, so per certo che ci sono anche dei Giuseppe e Maria.
Passati i controlli e reimbarcato il bagaglio da stiva ho ancora un po’ di tempo e anche un po’ di fame dato che, a dispetto del fuso orario che indica le 3p.m., il mio stomaco sa che è ora di cena.
L’aeroporto è zeppo di catene di cibi da fast food e sinceramente non sono ancora pronto per tutto ciò. Opto allora per la cosa più conservativa che c’è… una pizza con pePPeroni. Come per il caffè, capisco che il cibo non sarà una delle cose su cui puntare in questo viaggio; ma oh! Siamo a mezzo emisfero distante da casa, non possiamo mica pretendere di mangiare gli spaghetti di casa… no?
Ore 8p.m. è ora di ripartire, questa volta direzione Los Angeles. In aereo fa freddissimo, per fortuna ci sono delle copertine sul sedile e per non addormentarmi decido di guardarmi The Hobbit. 6h e mezzo dopo, con altre 2500 miglia sotto i piedi, eccoci arrivati a LAX.
Anche se in Italia i miei amici avranno già fatto colazione da un po’, qui è mezzanotte. Dopo circa 30h di viaggio sono anche riuscito a tornare indietro nel tempo; non male.
Un momento fatidico mi attende ora: il ritiro del bagaglio.
Dopo che tutti, ripeto tutti, hanno riconosciuto la propria valigia e sono andati via contenti, del mio neanche l’ombra. Era tutto il viaggio che ci pensavo e ora che sono rimasto solo ad attendere sul nastro un fantomatico bagaglio celeste che non c’è, mi scappa da ridere; forse avrei dovuto fare come il nonno e legare un nastrino rosso alla maniglia per riconoscerlo ed evitare a lui di perdersi.
Sono stranamente tranquillo e penso che, tutto sommato, si farà anche senza.
Contro ogni previsione, lui era però arrivato prima di me ed era lì che aspettava da ore. Bravo, andiamo allora, cominciamo a pestare questo asfalto californiano.
Una settimana prima avevo anche prenotato un bus via internet per arrivare in hotel…chissà se esiste davvero. C’è tutto!
Dopo aver fatto un giretto notturno per strade californiane eccoci finalmente a destinazione: Hotel Pepper Tree. Arrivare in camera e trovare quel lettone tutto per me è stato come un miraggio. Mi ci sono subito tuffato su per testare che fosse vero. Lo era, ed è stato il letto più comodo su cui abbia mai dormito.
Relax, finally.